Il commercialista dell'atomo
Si torna a parlare di energia e di centrali nucleari in Italia e il ministro biellese dell’Ambiente Gilberto Pichetto è in prima linea nel dibattito, non solo per il ruolo che riveste che lo rende anche responsabile della “sicurezza energetica”, locuzione coniata con la nascita del governo-Meloni. A rinfocolare lo scontro tra favorevoli e contrari è stata la proposta di creare un polo energetico a Marghera, sulla laguna di Venezia, a un passo dalla città-monumento e là dove c’era uno stabilimento petrolchimico che ha fatto pagare dazi pesanti dal punto di vista proprio ambientale ai residenti della zona. La sfida tra favorevoli e contrari a Marghera ha anticipato quello che rischia di accadere se davvero l’Italia scegliesse di tornare all’atomo, dopo il referendum del 2011 che ne ha bloccato l’utilizzo: anche chi pensa, in linea di massima, che bisognerebbe riaprire centrali nucleari (probabilmente la pensa così il presidente del Veneto Luca Zaia, leghista), non le vorrebbe dietro casa. Pichetto, in una lunga intervista a La Stampa, mette le mani avanti fin dalla prima risposta, mostrando fino in fondo la sua formazione nella diplomazia di pentapartito della prima repubblica: «Nucleare a Marghera? Prematuro parlare» dice. Ma sulla necessità di produrre elettricità dalla fissione dell’atomo ha invece molti meno dubbi: «Ho dato un incarico specifico al professor Giovanni Guzzetta ed entro quest’anno conto di presentare un disegno di legge delega che poi dovrà avere il suo percorso parlamentare e di confronto». Il tempo non manca perché il nucleare a cui pensa Pichetto e per il quale è stata chiesta la consulenza di Guzzetta (giurista, costituzionalista ed ex capo di gabinetto del ministro Brunetta ai tempi dei governi Berlusconi) è quello cosiddetto di nuova generazione, per il quale servono ancora studi, ricerche e sperimentazioni. L’orizzonte, secondo il ministro biellese, è da qui a dieci anni: «Il dibattito oggi può essere solo teorico. Poi, fra 7-10 anni, quando i piccoli moduli nucleari saranno disponibili, dovranno esserci nuove regole, andranno fatte le opportune valutazioni e solo allora si discuterà su dove collocarli». Pensando al Biellese, c’è una centrale dismessa, quella di Trino, come vicina di casa là dove c’è ancora un deposito di scorie in attesa di trovare una collocazione definitiva, un processo che il ministero non ha ancora completato anche per mancanza di candidati. Trino, che si era auto-proposta, ha dovuto fare dietrofront dopo le proteste di due province, anche dal centrodestra che esprime il sindaco della città di pianura. Ma il sistema tessile nostrano potrebbe essere il luogo giusto per una piccola centrale: «Ci saranno distretti industriali, i più energivori, che potranno utilizzare questi reattori. E aggiungo: c’è tanta protesta per il fatto che in questo momento ci sia un reattore all’Università di Milano e uno all’Università di Pavia? Non mi pare». Qui occorre un piccolo fact checking: il reattore di Milano è spento dal 1979, ha visto nel 1994 portare altrove la gran parte delle sue scorie e dal 2020 si studia come smantellarlo definitivamente. È spento anche quello del centro di ricerca Ispra, in provincia di Varese, mentre quello di Pavia non viene usato per produrre (o studiare) energia nucleare ma per altri usi medici e civili.
Ipse dixit
“Tutti noi dobbiamo sforzarci di capire che le nuove generazioni sono uniche nel loro genere, vivono il mondo del lavoro con uno spirito diverso. Il lato economico ha il suo peso ma hanno esigenze e aspirazioni sulle quali molte imprese non sono ancora in grado di intervenire”
(Andrea Valentini, presidente dei giovani imprenditori di Cna Piemonte, a Il Biellese)
La confusione tra politici e tecnici
«La Regione governata da Alberto Cirio del centrodestra non ha fatto niente e la Provincia governata da Ramella del Pd ha fermato l’impianto, muovendosi in punta di diritto, senza buttarla in politica e con un profilo più che corretto»: Paolo Furia, ex segretario regionale e oggi consigliere comunale e voce autorevole del Partito Democratico, l’ha messa giù dura intervenendo su La Stampa sulla questione dell’inceneritore di Cavaglià che la società titolare del progetto, la multiservizi A2A, ha provato a far uscire dal vicolo cieco del “no” al termine della conferenza dei servizi con un ricorso al Tar. All’apparenza però Furia mette a confronto pere e mele: il “no” della Provincia è su un provvedimento tecnico firmato da un funzionario, dirigente responsabile di settore, al termine di una procedura che degli interventi della politica deve fare a meno. Anche quelli che sembravano tali, come il parere negativo del comune di Cavaglià, sono stati puntellati da pagine e pagine di relazioni tecniche e non da una mera opposizione da “non nel mio cortile”. Così il documento della Provincia che ora il tribunale amministrativo dovrà riesaminare, si basa su valutazioni tecniche. Se fosse stata una scelta politica, il ricorso avrebbe probabilmente un esito più che scontato. Ma un simile atto, per avere forza e senso, deve camminare sulle gambe ben più solide di valutazioni specialistiche e su una procedura magari complicata e farraginosa, ma con tutti i passaggi previsti dalla legge. Lo stesso Alberto Cirio si era già difeso da simili accuse: se è vero che i pareri arrivati da Torino sull’inceneritore non ponevano obiezioni per fermare l’inceneritore, è altrettanto vero che erano pareri tecnici su quesiti ben precisi, come quello della direzione ambiente sulle possibili minacce a riserve naturali e biodiversità, e non alla totalità del suo progetto. Più rilevanti sembrano invece le puntualizzazioni di Furia su un tema più generale, quello della programmazione: «Il quadro normativo attuale genera confusione, fallendo nel conciliare prerogative del mercato e prerogative della politica. Alla fine il costo di questa confusione lo pagano i cittadini perché gli enti locali vengono coinvolti in procedure giudiziarie onerose mentre le scelte vengono rinviate potenzialmente per anni».
Cosa succede in città
Oggi alle 16 a Biella ricomincia il ciclo degli “Incontri del pomeriggio” dell’università popolare UpbEduca con una conferenza sui frammenti cartacei al chiostro di San Sebastiano. Parleranno l’ex direttrice dell’Archivio di Stato Graziana Bolengo e il presidente di UpbEduca Alberto Galazzo. L’appuntamento è nella sala convegni della Fondazione Cassa di Risparmio di Biella in via Gramsci 14/a. L’ingresso è libero
Oggi alle 21 al Piazzo si presenta il libro “Africa andata e ritorno”, con le testimonianze di don Dante Carraro, direttore di Medici con l’Africa Cuamm, e della pediatra Roberta Cinquetti, che ha lavorato in Repubblica Centrafricana. L’incontro è a palazzo Gromo Losa
Oggi alle 21,30 al Piazzo i martedì con i concerti del Biella Jazz Club portano nella sede di palazzo Ferrero il Nu Quartet. A guidarlo, il sassofonista siciliano Peppe Santangelo con un programma che prevede un tributo a Wayne Shorter
Numb3rs
Costa 59,90 euro l’edizione biellese del Monopoly, il gioco che una volta si scriveva senza “y” e con la “i” e che aveva sul suo tabellone quadrato Vicolo Stretto e Parco della Vittoria. Oggi, nella versione nostrana, ci sono i lanifici e sulle carte delle probabilità capita di essere mandati a fare lezione all’Its Tam perché non si distingue la trama dall’ordito. Tornando al prezzo, spicca la differenza tra le altre edizioni speciali: a disposizione sulla stessa pagina web che consente di acquistare quella biellese, si trovano il più economico Monopoly di Roma a 29,44 euro, la via di mezzo di Napoli a 31,66 e quello un po’ più caro di Milano a 44,99. Almeno sulla carta di un gioco da tavolo, insomma, il mercato immobiliare della piccola Biella ha prezzi più alti di quella dell’esosa Milano.