Le notti tropicali
Che sul cambiamento climatico sia ancora necessario fermarsi ai dibattiti, è quasi assurdo se si pensa alla montagna di analisi scientifiche che si uniscono a quello che si vede giorno dopo giorno sul pianeta Terra ma anche dalla finestra di casa. Ma per (provare a) convincere i più scettici, magari non quelli che condividono chicchi di grandine che non si sciolgono su Facebook dicendo che sono pieni di stronzio e non sono solo acqua, l’unica via è affidarsi ai dati. L’Arpa, l’agenzia regionale per la protezione dell’ambiente, ha rilasciato da poco il rapporto annuale sul clima piemontese, con un’analisi approfondita sulla siccità che ha colpito l’intera regione dall’inverno 2021. Ecco alcune delle conclusioni a cui è giunta la relazione che fa partire la crisi dall’autunno 2021, quando già i deficit di pioggia si attestavano tra il 10 e il 25% rispetto alle medie degli ultimi trent’anni. L’inverno è stato pesantissimo: il terzo più caldo degli ultimi 65 anni, con +1,8° di scostamento dalla media, il terzo più secco nello stesso periodo dopo 1981 e 2000, ma l’unico in cui la combinazione dei due fattori si è presentata insieme. Le conseguenze si sono viste anche per l’innevamento sulle Alpi piemontesi, inferiore dell’80% rispetto alla media. Allargando lo sguardo fino alla primavera, si scopre che la regione ha vissuto il terzo semestre più asciutto degli ultimi 65 anni e a maggio si è assaporata anche la pesante anomalia del giorno 28, quando le temperature registrate hanno sfiorato i 30 gradi. L’estate è stata invece la seconda più calda degli ultimi 65 anni dopo quella del 2003, +2,2° rispetto alla media 1991-2020. È qui che si inserisce il parametro delle notti tropicali, ovvero quelle la cui temperatura media ha superato i 20 gradi: a Biella la media storica degli ultimi trent’anni è di 22,4. Nel 2022 sono state 49, il peggior dato in regione dopo Novara. Quanto ai giorni tropicali (media oltre i 30 gradi) ne abbiamo sopportati 55, contro i 33,2 di media. Il Biellese risulta tra le aree con maggiore anomalia di temperatura nell’anno solare 2022 (circa 2 gradi in più) e con calo più alto delle precipitazioni, intorno al 50 per cento in meno della media. Il 2023 ha navigato per quattro mesi in una situazione simile prima di vivere il quarto maggio più piovoso degli ultimi 65 anni. Ma, come dice esplicitamente il rapporto dell’Arpa, «le precipitazioni del mese, seppur abbondanti, non sono state sufficienti a compensare completamente 18 mesi circa di deficit pluviometrico diffuso su tutta l’area».
Ipse dixit
“Non so come dirlo ma coloro che insistono a dire che non sta succedendo nulla di strano, che la situazione è quella di sempre, ecco… mi fanno un po’ tenerezza. Sì, lo so, dovrebbero farmi arrabbiare, indignare, soprattutto quando hanno responsabilità di governo oppure sono giornalisti o giornaliste. Ma è che mi viene da pensare a quando, ragazzino, non mi facevo una ragione del fatto che la fidanzatina mi avesse lasciato. Mi viene in mente quando, adolescente giocatore di pallacanestro, non mi capacitavo di una sconfitta. La presidente Meloni che dice che siamo di fronte a una situazione climatica imprevedibile mi ricorda quando a scuola prendevo un 4 e a casa dicevo: «Era assolutamente imprevedibile che mi interrogassero, che mi chiedessero quelle cose». Insomma, negli atteggiamenti di queste persone che negano i guai che hanno di fronte agli occhi, rivedo il ragazzino che sono stato e la cosa mi intenerisce moltissimo”
(Daniele Scaglione, giornalista, autore radiofonico, scrittore – sul tema ha firmato il libro “Più idioti dei dinosauri” – residente a Biella)
Il clima e lo spirito da pentapartito
Non è un compito facile quello di Gilberto Pichetto al ministero dell’Ambiente: deve districarsi tra l’evidenza della cronaca, con le grandinate e le trombe d’aria che squassano mezza Italia e gli incendi con le temperature da record che minacciano l’altra metà, e coloro che nel suo schieramento politico strizzano l’occhio ai negazionisti del cambiamento climatico. Domenica aveva rilasciato dichiarazioni sia a La Stampa sia a Repubblica piuttosto nette: «Siccità, caldo e tempeste stanno cambiando tutto. Negarlo è un errore, serve un’azione globale». E poi ancora: «I negazionisti fanno più danni dei catastrofisti. Il cambiamento climatico c’è, è evidente, è in atto e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti». Poi però lunedì su Instagram sembra aver voluto indorare la pillola: «Per me il negazionismo è sbagliato come il catastrofismo. Io sto ai fatti, non parteggio. Lasciamo ai tecnici il dibattito sull’emergenza climatica. La responsabilità del Governo è di mettere in pratica azioni che riducano al minimo gli effetti sulle nostre comunità delle siccità come delle forti piogge». Sembra un barcamenarsi da vecchio volpone figlio del pentapartito, sul filo delle parole da soppesare, se non fosse che lo stesso equilibrio precario si riflette anche su scelte e decisioni. Come conciliare la necessità di «un’azione globale» con le frequenti frenate, per esempio sul bando alla produzione e vendita di veicoli con motore a scoppio, che l’Italia ha portato in Europa?
Cosa succede in città
Oggi alle 9 a Biella il Museo del Territorio ospita il quarto laboratorio del ciclo “Un giorno al museo”, riservato a bambine e bambini tra i 7 e gli 11 anni. La giornata sarà dedicata all’emozione della paura. Prenotazioni allo 015.2529345. Il costo è di 10 euro a bambino, la quota comprende il pranzo
Oggi alle 21 a Cossato l’Agrisound festival si apre al cabaret con lo spettacolo di Maurizio Lastrico. L’appuntamento è al campo sportivo di regione Spolina. I biglietti sono a disposizione a questo link a 25 euro
Oggi alle 21,30 a Candelo la rassegna di jazz al ristorante Il Torchio al Ricetto prosegue con “Me and Mrs. Winehouse”, un tributo a Amy Winehouse con la voce di Silvia Zambruno, accompagnata dai Ivano Gruarin alla chitarra, Francesco Vecchia al basso, Renato Tarricone alla batteria, Luigi “Giotto” Napolitano alla tromba, Francesco “Cecio” Grano al sax tenore e Gabriele Peradotto al sax baritono. Il concerto è per coloro che hanno prenotato un tavolo al ristorante (015.2499028)
Un ricordo del prete del Bronx
Il 25 luglio, due giorni fa, era l’anniversario della morte di don Piero Gibello, storico parroco del Villaggio La Marmora negli anni in cui il neonato quartiere di case popolari era davvero il confine ultimo della città. Tra chiesa e oratorio, tra sottoscala trasformati in magazzini di cose da donare ai più poveri e ragazze e ragazzi tenuti insieme in parrocchia e lontani dai guai, ha segnato un’epoca e qualche decina di esistenze. Nel silenzio che ha caratterizzato la ricorrenza, si è alzata via social la voce di un ex abitante del Villaggio, il cooperante internazionale Edoardo Tagliani, cresciuto in quel cosiddetto Bronx e poi diventato uno che tende le mani per aiutare negli angoli più martoriati del mondo, dal Congo al Libano, da Haiti all’Ucraina bombardata. Ecco la sua testimonianza.
«Chi oggi pensa che il Villaggio La Marmora sia una zona difficile, si è perso i ’70 e gli ’80 del secolo scorso. Più di metà della mia classe delle elementari (14 su 25) o è morta per cause naturali (intendendo l’eroina come distillato naturale di una simpatica verzura) o ha trascorso lunghi periodi di soggiorno “in collegio a via dei Tigli”, come si diceva allora. Un prete di frontiera (Clint Eastwood nell’Old West era al suo confronto un poppante con il pannolino) salvò tanti di quei culi (quante anime nessuno lo sa perché, appunto, salvando i culi, le relative anime sono ancora qui in giro in attesa di giudizio) che a contarli ci vorrebbe Hal9000. Ora io, ateo di ferro, oggi, 25 luglio, saluto don Gibello e i suoi coppini forti sulla nuca, i suoi strilli, le sue carezze e, ne sono quasi certo, le sue bestemmie mormorate in solitudine al freddo della sagrestia più rovente del Bronx. Ché di certa gente, inginocchiata davanti a una croce o impettita davanti a una bandiera rossa, poco importa, ce n’è sempre stata troppo poca a fronte di bisogni enormi come l’inferno e il paradiso messi insieme. Se ne andò un 25 luglio di un qualche vecchio calendario. C’è chi se lo ricorda e chi fa finta di non ricordarselo. Chissà come ride».