Maria Bonino
«Mascherina e guanti, candeggina a gogò, stai tranquilla che mi difendo» scrisse Maria Bonino dall’Angola alla sorella, preoccupata per quell’epidemia di febbre che stava decimando la gente, soprattutto i bambini. E lei, che era pediatra, in mezzo a quei bambini ci stava per scelta e per dovere, o forse sarebbe più giusto dire per vocazione, data la sua formazione e il suo spirito profondamente religiosi. Quel messaggio arrivò undici giorni prima di un altro dispaccio dall’Africa: la dottoressa Maria era morta, uccisa da quella stessa febbre che stava cercando di fermare a mani nude, che la scienza medica chiama “di Marburg”, grave e fatale come scrive ancora oggi il ministero della Salute. Era il 25 marzo 2005, diciannove anni e una manciata di giorni fa. Maria Bonino era in Angola perché l’Africa era la terra dove voleva stare, fin da un viaggio in Kenya che aveva fatto anni prima, già laureata, con un’amica: «Avevano girato per missioni» ricordò un amico in un reportage di Maria Laura Rodotà per il Corriere della Sera, «la Maria era tornata raccontando di luoghi di tragedia, delle cose terribili che aveva visto. Secondo me da allora non è mai veramente tornata in Italia, il suo cuore è sempre stato lì». Erano i primi anni Ottanta. Maria Bonino partì pochi anni dopo come operatrice del Cuamm, l’associazione di medici per l’Africa: Tanzania, Burkina Faso, ancora Tanzania. Nel 2001 la decisione di trasferirsi, una volta per tutte, per mettersi a disposizione degli ospedali male attrezzati e pieni di bambine e bambini malati. Per tre anni rimase in Uganda, poi venne destinata a Uige, in Angola. Un collega, sempre dal vecchio reportage del Corriere della Sera, la descriveva come instancabile: «Entrava nell´ospedale alle sette e mezzo e usciva la sera tardi. Era cosciente del rischio e dei pericoli che correva, ma non aveva paura». Fino a quei mesi con la febbre che uccideva bambini e adulti: novanta morti, soprattutto tra i più piccoli e la «sensazione di essere impotenti. È umanamente impossibile dare un senso per tutto questo dolore innocente. L´unica è fidarsi che ci sia». Impiegò mesi, Maria Bonino, per far inviare campioni di sangue al centro mondiale per le malattie infettive negli Stati Uniti. La direzione dell’ospedale minimizzava, in una fetta di mondo in cui la mortalità infantile era altissima. Quando il responso arrivò, con quel virus che provocava febbre emorragica, era tardi: Maria Bonino era già malata. «State tranquilli» scriveva alla famiglia dall’ospedale della capitale angolana Luanda dove l’avevano trasferita. Ma sei giorni dopo quel viaggio in un centro più attrezzato, morì. «Era tenace e molto esigente» la ricordò un’altra collega su Avvenire. «Aveva una grande capacità di servizio e sacrificio. E nello stesso tempo guardava alla concretezza dei risultati. Continuava a essere indignata per il fatto che milioni di bambini nei Paesi poveri muoiono per la mancanza di ritrovati medici ormai comuni nel mondo sviluppato». Il suo corpo è rimasto in Angola, sepolto in un piccolo cimitero alla periferia di Luanda. La sua missione prosegue con l’opera della fondazione che porta il suo nome e che attualmente sostiene undici progetti tra Benin, Kenya, Tanzania, Uganda e Repubblica democratica del Congo. Il suo ricordo avrebbe potuto essere consegnato alle generazioni future anche intitolandole l’ospedale di Biella: se ne era parlato nel 2014, ai tempi del trasloco della struttura sanitaria nella sede di Ponderano. Il nome Maria Bonino vinse anche un referendum via internet indetto in provincia. Ma lo strambo dibattito campanilista che si scatenò in città, divisa tra chi avrebbe scelto il nome “Madonna di Oropa” e chi altre soluzioni, convinse i vertici Asl a scontentare tutti non scontentando nessuno. E il nome nuovo rimase uguale al vecchio: ospedale degli Infermi.
Ipse dixit
“A noi il compito di svegliarci dal sonno della morte, dal sepolcro in cui ci siamo rinchiusi, per riprendere a vivere, per sentire che siamo già risorti, che splende un giorno nuovo, che benedire è meglio che maledire”
(Dal messaggio pasquale del vescovo Roberto Farinella pubbliciato da Il Biellese)
Cosa succede in città
Oggi alle 10 al Piazzo apre i battenti la mostra “Banksy, Jago, TvBoy” dedicata all’arte contemporanea e da strada. A palazzo Ferrero e palazzo Gromo Losa l’orario è prolungato fino alle 22 e l’ingresso è gratis per chi ha meno di 18 anni. Per gli altri biglietti a 13 euro, ridotti a 10
Oggi alle 11 a Biella restano aperti nonostante la Pasqua gli spazi espositivi di Cittadellarte. Partiranno tre visite guidate alle 11, alle 14,30 e alle 16,30 con un percorso di circa un’ora e mezza tra le opere di Michelangelo Pistoletto, gli allestimenti di Arte al centro e il Terzo paradiso. Informazioni a termeculturali@cittadellarte.it
Oggi alle 21 a Magnano è in programma il concerto di Pasqua organizzato dall’Ensemble musica antica. Nella chiesa di Santa Marta la soprano Eva Kiss, Anastase Démetriades al flauto dolce, Luca Taccardi agli archi e Georges Kiss al clavicembalo esploreranno le influenze italiane sulle composizioni di Bach e Händel. L’ingresso è a offerta libera