Quando c'è giustizia?
«Questa non è giustizia» è una frase che può capitare di sentire fuori dalle aule di un tribunale dopo una sentenza che ha assolto o ha condannato a una pena giudicata non abbastanza severa chi era accusato di un reato. Lo urlano le persone che, in conseguenza di quel reato, hanno subito un dolore. Spesso fa suo il medesimo grido anche l’opinione pubblica. Rispondere alla domanda in modo oggettivo è compito da filosofi. Rispondere nella pratica dipende dalle leggi, dai processi e dall’andamento della giustizia che, come ogni cosa umana, non è perfetta. Ma a questa imperfezione, fatta in Italia di indagini, rinvii a giudizio o archiviazioni, processi, appelli ed eventuali passaggi in Cassazione, non c’è alternativa.
Due episodi biellesi degli ultimi giorni mettono in risalto, però, come sia difficile accettare l’esito di un passaggio in giudizio quando non è quello che si vorrebbe. Si è chiuso con l’assoluzione il segmento di processo sui fatti del tempio crematorio di Biella a carico di Graziano Patergnani e Raffaella Penna, entrambi architetti, all’epoca del reato rispettivamente capo dell’ufficio tecnico e responsabile del comparto cimiteri. L’accusa era di omissione di atti di ufficio per non avere controllato a sufficienza l’operato del gestore della struttura che, per risparmiare, cremava più corpi alla volta e smaltiva ceneri con i rifiuti urbani. L’assoluzione è arrivata perché «il fatto non sussiste» quindi con la formula più ampia possibile, in evidente accordo con la linea difensiva secondo cui le sole visite (poche per via dei carichi di lavoro) non avrebbero consentito di scoprire che cosa accadeva davvero. A commentare la sentenza è stato il comitato delle famiglie vittime dello scandalo del tempio crematorio: «Abbiamo tirato fuori il coraggio e la determinazione per andare avanti ed avere il più possibile i colpevoli al loro posto: in galera. In quattro anni abbiamo avuto sentenze solo negative, sentenze che non davano giustizia e sentenze dove non è stata neanche riconosciuta la colpa, una tra queste proprio l’ultima». La giustizia ha deciso, ma ha deluso la parte lesa.
Non sono organizzate né fanno troppo rumore le vittime di un altro presunto reato, i detenuti del carcere di Biella in base alle cui testimonianze un vicecomandante è finito agli arresti domiciliari e 23 agenti della Polizia Penitenziaria sono stati sospesi dal servizio. Il tribunale del riesame di Torino ha revocato la sospensione perché negli atti dell’inchiesta, più che il reato di tortura, si configurano quelli di lesioni, percosse e abuso di autorità per i quali non è prevista la misura cautelare assunta dal tribunale di Biella. Il giudice Stefano Vitelli, nelle 23 pagine che motivano la sua decisione, se la prende anche con il legislatore che dovrebbe pensare a «un trattamento sanzionatorio più severo dell’attuale comunque tale da consentire l’irrogazione per i responsabili non solo di sanzioni disciplinari ma anche di misure cautelari». A procedimento ancora in corso, nessuno esulta nemmeno tra chi (come il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro) si è sempre mostrato particolarmente vicino alla Polizia Penitenziaria. Ma c’è chi su Twitter si arrabbia pensando che non sia giustizia, riportando i passi della sentenza del tribunale del riesame citati da Repubblica: «Le botte a un detenuto ci sono state, ma si trattava di percosse “di non spiccata natura violenta”. Gli hanno tolto i pantaloni per decine di minuti prendendo poi a calci l’indumento per il corridoio del carcere ma il gesto “non ha comunque determinato un apprezzabile danno alla sua dignità” perché “veniva visto in mutande solo da alcuni agenti e dal personale medico che lo visitava”».
Ipse dixit
“Ho avvertito le mie compagne del ritardo. All’appello non ho potuto rispondere ma hanno spiegato la situazione alla commissione. Alla fine sono arrivata dopo le 9 quando la sessione orale era in corso. Per fortuna la notizia del problema al treno era anche sui siti internet e così il professore mi ha comunque permesso di sostenere la prova”
(Elena, studentessa universitaria biellese a Milano, nel racconto a La Stampa della mattina in cui due treni per Novara sono stati soppressi per l’allagamento sui binari dopo un temporale)
Ma funzionano ’ste foto?
La prima immagine è del 6 giugno, pubblicata sui suoi canali social dal consigliere comunale (Biella al Centro) Paolo Robazza: il lucchetto che tiene in mano, mentre guarda sorridente l’obiettivo, è quello che chiudeva il cancello del parco giochi con campetto di basket fuori dalla scuola De Amicis, in via Orfanotrofio. La protesta riguardava la chiusura nei fine settimana nonostante i suoi numerosi solleciti al Comune: 22 “mi piace”, 14 commenti (non tutti a suo favore), 5 condivisioni.
La seconda immagine sembra un clone: lo sguardo in macchina è dell’assessora Gigliola Topazzo (Lega) e del suo compagno di partito Vito Colletta, vicepresidente di commissione consiliare, che tengono in mano non il lucchetto ma le sbarre del cancello, rendendo plateale il gesto di aprirlo. Loro hanno preferito mandare ai giornali (vincendo la sfida della visibilità mediatica) l’istantanea con la comunicazione della riapertura dei cancelli del giardino, che erano rimasti chiusi per lasciarlo alla vicina elementare in piena sicurezza visto che il Comune non avrebbe avuto personale per garantire la pulizia entro il lunedì mattina.
Ok, è una cosa piccola così, ma la domanda è un’altra. Questo genere di foto a Biella si potrebbe definire il filone “assessori sulla ruspa”, aperto dalla celebre immagine di Giacomo Moscarola (Lega) e Davide Zappalà (Fratelli d’Italia) che fingono di smantellare il cordolo di una pista ciclabile piccone alla mano. Prevede che il protagonista, che sia a favore o contro un’opera pubblica, che voglia segnalare o risolvere un disagio, diventi il centro dell’immagine e il fatto che si vuole descrivere resta sullo sfondo. La domanda è: funzionano queste fotografie o si rischia di cadere nel mondo del cringe, espressione traducibile che si traduce con il certo qual imbarazzo in chi guarda e non solo in chi è ritratto?
Cosa succede in città
Oggi alle 16,30 a Biella è in programma una visita guidata alla mostra “Segno e disegno” con le opere di Giorgio Griffa ospitate nelle sale del Museo del Territorio di via Quintino Sella. L’attività è riservata a bambine e bambini fino agli 11 anni ed è gratuita e su prenotazione allo 015.2529345
Oggi alle 17 a Biella inizia il fine settimana di BiWine, recupero dopo il rinvio per maltempo di maggio, con l’apertura dell’anteprima di Bolledimalto in piazza del Monte. I produttori biellesi di birre artigianali saranno presenti fino a domenica (orari 17-24) accanto a postazioni di cibo da strada
Oggi alle 18 a Biella Linda Tugnoli presenterà nella piazzetta tra via Italia e via Gustavo di Valdengo il suo romanzo “La forma del ghiaccio”, nella cui narrazione compare come protagonista anche un giardiniere originario della valle Cervo. L’autrice sarà intervistata da Nicoletta Ramella Pezza. Organizza Contemporanea, collabora la libreria Giovannacci
Oggi alle 21 a Biella si celebra l’anniversario di fondazione del gruppo di Biella dell’Associazione marinai d’Italia con un concerto al Chiostro di San Sebastiano della fanfara del comando interregionale marittimo-nord di La Spezia
Sono passati 94 anni da Biellese-Inter
Era il 16 giugno 1929 quando la Biellese disputò la sua ultima partita nel massimo campionato italiano maschile di calcio. Non c’era ancora lo stadio La Marmora ma si giocava al campo Rivetti lungo l’attuale via Carso, dove da un paio d’anni c’è un cartello in memoria. Era l’ultima stagione prima della creazione della serie A a girone unico e la Biellese sfiorò l’ottavo posto che sarebbe valso la qualificazione. Arrivò nona e scivolò in serie B, per poi restare distante dai massimi livelli del pallone italiano per il resto della sua storia. L’ultima di campionato fu Biellese-Ambrosiana, nome che il fascismo aveva imposto all’Inter perché suonasse più italiano. I bianconeri vinsero 2-1 e l’ultimo gol subito nel calcio che conta di più porta la firma autorevole dell’ancora ventenne Giuseppe Meazza, uno che sotto la guida di un altro biellese, Vittorio Pozzo, avrebbe di lì a poco conquistato due Mondiali nel 1934 e nel 1938.
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È uscita ieri la puntata numero 23 di Ultimo Treno, autodefinitosi podcast strabico che parla di politica (locale e non) facendo finta di non farlo, curato per Better Radio da Marco Cassisa e Luca Decio Nobili. Nell’episodio si parla dei funerali di un noto esponente della politica e dell’impresa (indovinate chi?) e si svela quale video su YouTube che lo riguarda abbia il maggior numero di visualizzazioni. E questo non lo indovinerete mai.