Quota 50
Il Biellese ce l’ha fatta, e non è una buona notizia: il rapporto del 2023 di Osservabiella presentato ieri dice che l’età media in provincia ha raggiunto i cinquant’anni. Cinquanta tondi, contro i 47,8 del Piemonte, i 48 dell’Italia, i 49,8 del 2022 in provincia, sono un segno in più di quello che tutti dicono da anni: la condizione demografica sotto il Mucrone è quella di una provincia che non smette di invecchiare. Osservabiella è il centro studi sul territorio nato grazie alla Fondazione Cassa di Risparmio di Biella, con l’obiettivo di fotografare la situazione alla luce degli obiettivi di sostenibilità e qualità della vita di Agenda 2030 e, con quell’istantanea in mano, di provare a guidare i processi di sviluppo per chi li deve decidere, dal mondo politico e amministrativo a quello economico. Il lavoro dell’osservatorio è iniziato nel 2021 e l’andamento della popolazione è solo uno degli ambiti affrontati. La prima cifra riguarda il lieve ma costante calo di chi abita in provincia: siamo 168.623, altri settecento abitanti circa in meno rispetto all’anno scorso. Se l’immigrazione ha fatto per anni da contrappeso al calo demografico, la tendenza sembra essersi esaurita: gli stranieri sono il 5,71% del totale dei residenti. È il dato più basso in Piemonte, la metà per esempio di quelli di Alessandria, Asti, Cuneo e Novara. La presenza straniera in Italia è dell’8,58%, quella in regione del 9,76%. Tornando all’età media, il 54,6% dei biellesi ha più di cinquant’anni. I residenti nella fascia 85-89 anni sono quasi novecento in più di quelli nella fascia 0-4 anni, 5.492 contro 4.613. Non a caso il tasso di natalità, 4,9 bambini nati ogni mille abitanti, è il più basso del Piemonte ed è lontano dal dato italiano di 6,7. L’indice di dipendenza strutturale dice che hanno meno di 14 anni e più di 65 anni (le fasce della popolazione non attiva) 66,5 persone ogni cento tra i 15 e i 64 anni. Considerando solo gli anziani diventano 49,8. Dieci anni fa l’indice era a 42,6. Ci sono tre ultra-sessantacinquenni per ogni under 14. C’è un altro dettaglio che potrebbe essere un sintomo: nella fascia di età 25-29 anni i residenti calano rispetto a quella 20-24. Sembrerebbe che, al termine del ciclo di studi universitario, ci sia una tendenza a lasciare la provincia.
Ipse dixit
“Innanzi alla bara di Gabriele nessuno può sentirsi assolto e di certo noi non ci uniremo ai discorsi di alcuni idioti, che girandosi dall’altra parte andranno dicendo: se l’è andata a cercare. Finché un giovane morirà come Gabriele, tutti siamo coinvolti”
(Dall’omelia di don Fabrizio Mombello, parroco di Occhieppo Inferiore, ai funerali della persona morta a Chiavazza pochi giorni fa, un caso considerato all’inizio come un omicidio mentre oggi, dopo l’autopsia, si parla di overdose di droga)
Diplomarsi al professionale
In Italia il numero di ragazze e di ragazzi che sceglie un istituto tecnico o professionale per diplomarsi è nettamente più alto rispetto alla media dei paesi Ocse, il 40% contro il 23%. Ma chi ottiene un titolo di studio in quelle scuole guadagna solo il 4 per cento in più rispetto ai coetanei senza nessuna qualifica quelli, per tagliar corto, con la terza media. La differenza di salari, nella fascia di età tra i 45 e i 54 anni, è ben diversa: +40% per chi è diplomato rispetto a chi non lo è. È questa l’estrema sintesi dell’analisi sull’educazione contenuta nel rapporto periodico della stessa Ocse, l’organizzazione internazionale per lo sviluppo economico che ha l’Italia tra i membri fondatori e che comprende pressoché l’intera Europa, la Turchia, Usa e Canada, Australia, Corea e Giappone e nazioni dell’America centrale e meridionale. Sono dati che parlano anche a Biella dove uno degli sforzi maggiori del sistema produttivo (con dichiarazioni in questo senso anche del neo-presidente e amministratore delegato di Città Studi Ermanno Rondi) è di convincere più giovani a scegliere un percorso di studi tecnico anziché un liceo, in un momento in cui le imprese faticano a trovare manodopera adeguata. Secondo queste cifre, si direbbe che uno degli ostacoli sia la prospettiva di carriera e non solo il fatto che il cosiddetto posto fisso non sia più un valore dirimente per chi è nato attorno al 2000. Se cinque anni di studio diventano lo sbocco per uno stipendio appena superiore a chi è rimasto sui banchi cinque anni di meno, che cosa c’è di allettante nel percorso e, soprattutto, nel traguardo? La ricerca Ocse aggiunge un altro dato: due anni dopo la fine del ciclo di studi solo il 55% delle persone trova un lavoro. È il tasso più basso tra tutti i Paesi presi in esame. A commento a queste considerazioni, sul numero di lunedì del quotidiano Domani è comparsa l’analisi di un’insegnante, Giulia Addazi: «Dal nostro punto di vista di docenti assistiamo spesso a un processo di percolato educativo: quello che scola dal liceo classico o scientifico è indirizzato agli altri licei, poi al tecnico, poi al professionale e infine alla formazione professionale regionale. Si accumulano ritardo scolastico, frustrazione, impotenza, si abbandona la scuola. Le colleghe e i colleghi del liceo usano espressioni come “è da professionale” per indicare studenti che non raggiungono livelli minimi ci capacità di lettura e calcolo. Il percolato, alla fine, ammonta a un 22% tutto italiano di giovani adulti che non ha conseguito un diploma. Media Ocse: 14 per cento».
Cosa succede in città
Oggi alle 10 a Biella la biblioteca dei ragazzi Rosalia Aglietta Anderi ospita un incontro per neomamme e future mamme dal titolo “Storie di latte, cerchi delle mamme” organizzato dall’associazione Mom’s Biella. L’ingresso è libero
Oggi alle 16,45 a Cossato comincia la preparazione alla festa di Halloween in biblioteca: il laboratorio per bambine e bambini dagli otto anni in su s’intitola “L’inventamostri” con letture e la costruzione di mostri e animali polimorfi. Prenotazioni allo 015.9893520
Le conseguenze della guerra tra Gaza e Israele
Una riunione in prefettura del comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica e il compito di aumentare la sorveglianza, anche se in modo discreto, alla sinagoga di vicolo del Bellone al Piazzo e alla porzione del cimitero urbano riservata ai defunti di religione ebraica: sono queste, secondo il racconto de La Stampa, le conseguenze del nuovo inasprirsi del conflitto tra Hamas, la fazione estremista della Palestina, e Israele. Rossella Bottini Treves, la presidente della comunità ebraica di Vercelli e di Biella, aveva già disposto la sospensione di qualsiasi attività in segno di lutto, così come la chiusura dei luoghi di culto sia per le cerimonie religiose sia per le visite guidate. «È un momento molto delicato» ha spiegato sempre a La Stampa: «quasi tutte le famiglie hanno parenti in Israele, le comunicazioni sono problematiche, sappiamo che in molti si sono recati nei rifugi per mettersi al sicuro». È un’esperienza che ha vissuto direttamente, e in diretta televisiva, anche il cronista biellese Elia Milani, inviato al confine tra Israele e Gaza per i canali Mediaset. Come ha raccontato La Provincia di Biella, un collegamento è stato interrotto da un allarme antimissile con la polizia che ha portato di corsa lui e il cameraman in un rifugio nella città di Sderot, a un chilometro dal confine. Delle prese di posizione via social di almeno due ex rappresentanti delle istituzioni, nelle vesti di consiglieri comunali, meglio non dare nemmeno conto.