Record negativo
Forse non è una sorpresa ma certamente non è una buona notizia quella comparsa lunedì su Il Sole 24 Ore: nel numero post-domenicale, dove normalmente si dà spazio ad analisi e statistiche preparate in anticipo dalla redazione, Biella esce malissimo da quella sulla dinamica delle aziende negli ultimi dieci anni. Nessuna provincia ha perso imprese in percentuale maggiore e nessuna ha perso, nello stesso periodo tra il 2013 e il 2023, abitanti in percentuale maggiore. Le cifre dicono -15,9% delle aziende e -7,5% dei residenti. Le cifre arrivano dal calcolo fatto in base ai numeri del registro delle imprese con la differenza tra il 31 dicembre 2013 e lo stesso giorno del 2023. Dietro Biella ci sono Ancona (-15,2%), Fermo (-14,8%), Mantova (-14%), Gorizia (-13,6%) e la vicina Vercelli (-13,5%). L’Italia ha perso 54mila aziende in tutto con Piemonte e Marche a trascinare verso il basso il risultato del Paese. Biella e Vercelli guidano anche la classifica dello spopolamento: dietro il 7.5% di calo degli abitanti biellese c’è il -6,6% vercellese. Sono più di tremila, sottolinea Il Sole 24 Ore, le imprese scomparse in dieci anni in provincia: il settore con il risultato peggiore, e nemmeno questa è una sorpresa, è il commercio con un -31% di attività che hanno chiuso i battenti. Per una volta a migliorare rispetto al passato è il Sud: +3,2% di imprese iscritte in un decennio. Il quotidiano economico prova anche ad analizzare le ragioni del dato e le apparenti contraddizioni con altri parametri del territorio: si parte dalla grande crisi che decima le fabbriche (da 1800 a 648 in trent’anni) e gli addetti (da 30mila a 10mila) per arrivare alla situazione attuale con il tessile di alta gamma tornato numero uno del mercato mondiale e con le statistiche su ricchezza e consumi (14ª provincia d’Italia) e sulla disoccupazione (al 3,9%) che restano immagini di un territorio vitale. Ma, come osserva la segretaria provinciale della Uil Anna Maria Mosca, «siamo la provincia più vecchia d’Italia, con 292 pensioni di vecchiaia erogate ogni mille abitanti. Nascono pochissimi bambini e il territorio è sempre meno attrattivo». La soluzione? Investire su formazione e innovazione, dice l’analisi de Il Sole 24 Ore, «per trattenere i giovani e attrarne da fuori».
Ipse dixit
“Mi sono reso conto di essere un privilegiato quando, a una cena, gli street artist di Kiev mi hanno detto che da quando la guerra era iniziata avevano perso completamente la propria creatività: «Sentiamo che non è più una priorità fare arte, ma dobbiamo collaborare», mi hanno detto, sottolineando come il mio punto di vista fosse differente perché, a differenza loro, riuscivo ancora a vedere futuro e pace.[...]. Quando sono tornato a casa per una settimana ho avuto un senso di vuoto, perché ti rendi conto che le cose importanti della vita sono altre. Se Jorit avesse visto quello che ho visto io con i miei occhi non si sarebbe schierato con la propaganda russa. Da quello che ho vissuto e mi hanno raccontato io non riesco a capire come un artista come lui possa mistificare una figura come quella di Putin, che letteralmente ha invaso e aggredito un popolo”
(TvBoy, all’anagrafe Salvatore Benintende, uno degli artisti protagonisti della grande mostra del Piazzo, in un’intervista a LaPresse in cui parla di Ucraina, Russia e del gesto del suo collega Jorit comparso accanto a Putin pochi giorni fa)
Segno dei tempi (mediatici)
Da qualche settimana l’edizione di Biella di La Stampa ha un appuntamento domenicale pressoché fisso con una grande intervista a protagonisti della vita del territorio sul tema “La città che vorrei”. Ci sono passati la ginecologa dell’Asl Bianca Masturzo, l’allenatore di pallacanestro Federico Danna, il jazzista Max Tempia, il creatore di Teatrando Paolo Zanone. Domenica è stato il turno di Sara Marcalli che undici anni fa insieme alla cognata fondò la libreria per bambini Cappuccetto Giallo in via Losana angolo via Vescovado. La Stampa ha lanciato l’intervista anche nella sua edizione web, con il titolo “Vivere a Bologna? Meglio qui”. Ogni titolo è, forzatamente, una sintesi di uno dei passi salienti di qualsiasi articolo, sintesi che deve essere estrema (e parziale) specie se ci si riferisce a una lunga intervista densa di spunti. Il concetto espresso dall’intervistata era una sorta di critica alle lamentazioni dei biellesi su temi, dalla difficoltà di trovare parcheggio alla scarsa qualità della vita in genere, su cui forse avrebbero un punto di vista differente se avessero vissuto altrove. Leggendo l’intera sequenza di domande e risposte tutto sarebbe stato chiaro. Ma chi ha commentato, in gran numero, su Facebook il link all’articolo si è soffermato sul titolo: c’è chi ha detto che ha ragione perché a Bologna c’è la zona 30 o perché nella zona dell’università bolognese ci sono sporcizia, graffiti e la camionetta della polizia sempre presente, c’è chi ha tenuto a rimarcare che Biella è la peggiore provincia del Nord Italia e chi ha sottolineato che Bologna è un po’ cara ma certamente è viva. Una commentatrice ha perfino ripescato il vecchio caso della Uno bianca e gli omicidi in serie compiuti da elementi delle forze dell’ordine. Ma forse ha centrato il punto soprattutto un utente Facebook: «L'articolo è solo per abbonati ma sono certo che Sara ha detto cose interessanti!». Dei 34 commenti, solo questo mette in mostra l’elefante nella stanza che sta dietro a una discussione un po’ stramba: nessuno, quasi certamente, ha letto l’intera intervista, fermandosi al titolo e al paragone su Bologna. È due volte un segno dei tempi, in cui tanti sembrano avere un’opinione e una gran voglia di renderla nota anche se non hanno tutti gli elementi per esprimere un giudizio. Il secondo (brutto) segno per il mondo dei media è che quell’articolo era disponibile solo per chi ha pagato un abbonamento a La Stampa, almeno quello scontato per accedere a tutti i contenuti del sito web. È il meccanismo del cosiddetto “paywall”, il muro che si erige davanti a chi legge solo gratis e sbarra all’accesso ai contenuti esclusivi per gli abbonati. I giornali che usano questo sistema provano ad attirare lettori mostrando anche i contenuti nascosti sui social, sperando di convincere qualcuno a mettere mano al portafoglio perché non può fare a meno di leggere proprio quell’articolo lì. A giudicare da quei commenti, l’operazione nel caso in questione sembra essere fallita. Piccolo spoiler per spiegare da dove venga il titolo: Sara Marcalli era la fidanzata del compianto Paolo Barlera, cestista che giocò per Pallacanestro Biella e la cui vita si è fermata troppo presto per colpa di un linfoma. A quei tempi, la coppia aveva deciso di fermarsi a vivere a Biella dopo la fine della carriera nel basket di lui anche per la vita tranquilla che si poteva fare, pur essendo sportivi famosi: «Ai tempi della pallacanestro con Paolo potevamo passeggiare tranquillamente in via Italia senza che ci fermassero ogni tre metri. A Bologna non poteva succedere. Amo l’indole riservata di questi luoghi»
Cosa succede in città
Oggi alle 16 a Biella si parla di arte agli “Incontri del pomeriggio” dell’università popolare UpbEduca: Luciano Quaregna tratterà il tema “Più di 100 milioni per un quadro: chi li ha spesi e che cosa ha comprato”. L’appuntamento è nella sala convegni della Fondazione Cassa di risparmio di Biella in via Gramsci. L’ingresso è libero
Oggi alle 16,30 a Biella il ciclo di film culturali al cinema Mazzini propone “Uomini e dei”, documentario diretto da Michele Mally girato in occasione dei duecento anni dalla nascita del Museo egizio di Torino. Sono previste repliche alle 21 di oggi e di domani
Oggi alle 21 a Candelo al cinema Verdi sarà proiettata la versione restaurata in 4K di Persepolis, il film di animazione tratto dall’omonimo libro dell’autrice iraniana Marjane Satrapi che ne ha curato l’edizione
Oggi alle 21,30 al Piazzo l’appuntamento del martedì con la musica dal vivo al Biella Jazz Club è con il Genovese Trio, composto da Raffaele Genovese al pianoforte, Yuri Goloubev al contrabbasso e Tony Arco alla batteria
Il Cucu
«Biella diventerà il rione più importante di Chiavazza» disse un giorno il Cucu Franco Caucino a una cerimonia di apertura del carnevale della città. Scherzava, come al solito, con la battuta sempre pronta rigorosamente in lingua biellese e il sorriso che si apriva sotto i baffi. Ma c’era un fondo di verità: almeno per quanto riguarda il “suo” carnevale, Chiavazza era il centro e Biella era diventata periferia. Di quella riscossa del rione che una volta era Comune indipendente oltre i ponti sul Cervo, Caucino era una sorta di simbolo: per quarant’anni ha vestito i panni della maschera del quartiere, con l’abito nero elegante e un cappello con le piume e il becco lungo, da uccello chiacchierone. Nel corso del tempo ha visto pian piano sfarinarsi le tradizioni del capoluogo dove una volta c’erano la caccia al Babi aperta alle scuole, la sfilata dei carri e delle maschere che riempiva via Torino e via La Marmora di coriandoli, le feste, le fagiolate e le danze e poi, alla fine di tutto il martedì grasso, il processo al Babi, l’orribile batrace vercellese che, insidiando Catlin-a consorte del Gipin, si meritava ogni anno la condanna al rogo non prima di aver lanciato le sue invettive alle storture della città. Erano tempi, come ebbe modo di dire Caucino qualche anno fa, in cui le amministrazioni sostenevano solo il carnevale di Biella e quello di Chiavazza che facesse da solo. Lo ha fatto benissimo, fino al punto in cui, per poter dire di avere ancora un momento di festa prima del digiuno e del pentimento quaresimale, il capoluogo dovette guardare proprio oltre il torrente, inglobando il ricco carnevale chiavazzese e rendendolo orgoglio anche della città. La periferia nel frattempo era già entrata nel Guinness dei primati grazie alla fagiolata, considerata la minestra cotta nello stesso momento più grande del mondo. Aveva mantenuto la sfilata in maschera. Aveva aggiunto al bal dal lünes al teatro parrocchiale la commedia originale scritta ogni anno da mani sapienti, tra cui quelle del viceparroco don Carlo Dezzuto, e sempre con Franco Caucino sul palco a fare il mattatore. E, dettaglio non irrilevante, il Cucu era entrato in municipio a ricevere le chiavi della città insieme al Gipin, secondo sindaco della città per i giorni fino al mercoledì delle ceneri. Si vantava, il Cucu, di aver sempre preso in giro tutti ma siccome lo faceva con il sorriso poi alla fine nessuno si arrabbiava. Quello di un mese fa doveva essere il carnevale del passaggio di consegne al più giovane Marco Minetto, ma come fare a rinunciare a stare in mezzo alla gente con il suo costume? Quella stessa gente che oggi nella chiesa parrocchiale della sua Chiavazza si stringerà attorno alla bara per i funerali, ricordando un uomo che, con baffoni, sorriso e un cappello strano, portò la periferia a essere più forte del centro.