Sempre ultimi
La Cgil lo aveva denunciato a luglio: a Biella i tempi di attesa per completare l’iter che porta alla pensione di invalidità erano doppi rispetto a quelli della vicina Vercelli. Oggi il sindacato riprende la parola per fornire le cifre: se i 140 giorni necessari nella provincia cugina sembrano tanti, come definire i 280 del Biellese? Sono più di nove mesi, durante i quali le famiglie delle persone con invalidità fanno come possono, dando fondo ai risparmi per coprire le spese di assistenza o di soggiorno in strutture sanitarie. L’invalido, nella provincia dall’età media tra le più alte d’Italia, normalmente è un anziano che ha perso l’autosufficienza e che ha bisogno di cure mediche, dello sguardo di una persona che faccia da badante o di un letto in casa di riposo il cui costo è nettamente superiore a quello di una pensione media. Succede, come aveva detto in estate la Cgil, che il via libera arrivi quando la persona con invalidità è già morta. Non consola sapere che i familiari hanno comunque diritto agli arretrati. I 280 giorni di Biella si sono moltiplicati rispetto ai 199 del 2022 secondo i calcoli della Cgil che con il suo patronato fa da facilitatrice delle pratiche complesse per arrivare alla fine della procedura. La media italiana è di 144 giorni, quella regionale di 166. E il problema risiede, come in estate e come in altri ambiti, nella carenza di personale sanitario: mancano medici, in breve. «Abbiamo sollevato da più di due anni il problema dei tempi lunghi per la visita della commissione medico legale» sono le parole di Lorenzo Boffa Sandalina, segretario provinciale della Cgil. «Per un certo periodo siamo riusciti a ottenere che l’Asl raddoppiasse la commissione, ma ora la situazione è tornata critica. Ci sono casi in cui la visita arriva dopo il decesso della persona per la quale era stata avviata la richiesta di invalidità». In più, dice il sindacato, manca personale anche all’Inps, il 23 per cento in meno rispetto al 2019. Boffa Sandalina ha una proposta: «Dal momento che i medici non aumenteranno a breve, varrebbe la pena di ragionare su come poter utilizzare la documentazione medica di cui il paziente già dispone».
Ipse dixit
“Vorremmo incentivi a chi è già qui mentre oggi chi si laurea scappa all’estero dove è pagato meglio e l’Italia ha in mente di chiamare infermieri stranieri”
(Vincenzo Loschiavo, referente provinciale del sindacato degli infermieri Nursing Up, a Il Biellese dopo lo sciopero del personale sanitario di mercoledì scorso)
Sempre senza medici
Valsessera e valle Cervo sono gli ultimi grattacapi per le aziende sanitarie di Biella e Vercelli che, sulla carenza di medici di base, sembrano il bambino in spiaggia che prova a svuotare il mare con il secchiello. A Pray, Coggiola e dintorni, come scrive La Stampa, lascerà l’incarico una dottoressa che era arrivata in estate per prendersi cura di una fetta di cittadinanza e negli stessi giorni un altro medico andrà in pensione. Il “buco” riguarderà duemila pazienti, con il concorso già bandito per trovare sostituti ma che non avrà esito (ammesso che qualcuno si presenti) fino alla fine dell’inverno. Per i mesi-ponte dovrà essere adottata una soluzione tampone con gli ambulatori di distretto, una soluzione simile a quella che a Valdilana garantisce medici a rotazione per settecento residenti. Qualcuno ha già scelto un altro dottore, come dice La Stampa, ma con sede a Borgosesia, vicino ma non vicinissimo ai paesi della Valsessera che ricadono sotto la giurisdizione dell’Asl di Vercelli. «Sin dal nostro insediamento» dice il sindaco di Coggiola Paolo Setti «ci siamo attivati per migliorare il servizio sanitario in valle. Ma siamo di fronte a una mancanza cronica di medici». Da una valle all’altra, sulle sponde del Cervo, la situazione è simile: anche qui si perderanno due professioniste in pochi giorni, una per dimissioni e l’altra per la pensione. Qui, come scrive Eco di Biella, esiste già una graduatoria di assegnazione ma i medici contattati avrebbero detto di no, così ecco un nuovo avviso pubblico per reclutarne altri. La fetta di territorio coinvolta va dalle alture di Piedicavallo alle colline di Ronco e Ternengo. In comune le due storie hanno il particolare di essere “zone interne”, come direbbero Istat e le sue analisi: ovvero lontane dai capoluoghi e dai servizi, in via di spopolamento e, come in una reazione a catena, destinate a perdere ancora più servizi. La Regione aveva annunciato, proprio in Valsesia, un’iniziativa per dare incentivi ai dottori che avessero scelto di operare in zone decentrate. Per ora non sta funzionando.
Cosa succede in città
Oggi alle 16 a Biella si trasferisce nella sede di via Delleani dell’università popolare UpbEduca l’appuntamento con gli “Incontri del pomeriggio”: don Carlo Dezzuto parlerà delle testimonianze del Bernini nell’architettura di Roma. L’ingresso è libero
Oggi alle 20 a Candelo prosegue la rassegna sui film di montagna al cinema Verdi: “Fiore mio” è la pellicola scritta, diretta e interpretata da Paolo Cognetti, vincitore di un premio Strega con “Le otto montagne”. Biglietti a 10 euro, ridotti a 8. Ci sarà una replica anche alle 21,30
Oggi alle 21 a Candelo c’è un appuntamento con la nostalgia delle commedie all’italiana nell’altra sala del cinema Verdi dove sarà proiettata la versione su pellicola in 35 millimetri di “Il ragazzo di campagna”, film del 1984 con Renato Pozzetto protagonista e la coppia Castellano e Pipolo alla regia. Parteciperà alla serata Sandra Ambrosini, che nel film interpretava Maria Rosa
Oggi alle 21,30 al Piazzo è la serata della jam session al Biella Jazz Club. L’appuntamento è nella sede di palazzo Ferrero
Du iu spic inglisc?
Per Il Post, organo d’informazione che si è ritagliato uno spazio ormai consolidato sul web, è un punto nodale del suo modo di scrivere quello di evitare la “lingua di plastica”: nella locuzione si riassumono le espressioni diventate così luoghi comuni da perdere significato (due esempi: le “lamiere contorte” dopo uno “spettacolare incidente stradale”) ma anche quelle così tecniche da risultare difficili da comprendere per il lettore medio. Per informare, del resto, è necessario anche essere chiari. Allora perché le pagine soprattutto di economia dei giornali sembrano scritte solo per gli addetti ai lavori, con un abuso dell’inglese anche quando la traduzione italiana esiste? Ecco un esempio da un giornale locale (si cita il peccato, non il peccatore) che riporta una notizia con ampi stralci del virgolettato di un dirigente d’azienda. L’argomento è la nuova sede scelta in un luogo diverso da Biella per il proprio servizio ai clienti. Tra titolo e sottotitolo, quindici parole in tutto, tre sono in una lingua diversa dall’italiano e una ha origini altrove anche se ormai compare nei vocabolari: si parla di “re-location” nel mondo del “fashion” per essere in linea con i valori del “brand”. E se parlare di un nuovo “atelier” è attestato anche dai dizionari, spiegarsi meglio menzionando “moda” e “marchio” al posto dei corrispettivi anglosassoni forse non avrebbe fatto perdere significato alle frasi. E se “trasloco” suonava troppo pop per “re-location”, dire che era in vista un “cambio di sede” forse avrebbe reso un servizio migliore alla comprensione di chi legge. Nell’articolo c’è anche un immancabile “restyling” (rimessa a nuovo? Restauro? Revisione dell’immagine? A voi la scelta) e soprattutto c’è un doppio sintomo: a volte noi che scriviamo siamo pigri e abitudinari e ci adagiamo su espressioni che non invogliano alla lettura gli occhi più profani di una materia. L’altro sintomo lo si potrebbe definire “effetto Linkedin”, la rete sociale considerata più professionale rispetto agli spazi leggeri da Facebook in giù. Da quelle parti scrivere in inglese ricorda il gesto dei bagnanti che trattengono il respiro e tirano indietro la pancia quando passa una fanciulla avvenente. Poi magari la fanciulla passa oltre senza nemmeno farci caso. Come, probabilmente, fanno i lettori.