Un'idea per l'Est urbano
Restituire l’area ex Rivetti alla sua vocazione tessile creando un centro (la parola usata è hub, ma suona bene anche con la traduzione italiana) per la produzione sostenibile in grado di rigenerare filati e tessuti usati: l’idea è di un gruppo di studentesse e studenti di architettura che hanno trascorso qualche giorno a Biella per studiare un progetto di rigenerazione di uno spazio in disuso della città. A presentarla è stata la docente dell’Università del Piemonte Orientale Alessandra Faraudello in un incontro a palazzo Gromo Losa promosso dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Biella e raccontato da Eco di Biella. Si tratta di un passo ulteriore del progetto Riconet, finanziato con 800mila euro dall’Unione Europea e che aveva nel suo scopo quello di dare idee per dare destinazioni nuove a edifici dismessi a Biella e in due città della Svizzera, nel canton Vallese. Il primo capitolo si era chiuso in primavera quando a palazzo Oropa era stata consegnata al Comune una bozza di regolamento per la gestione, la cura e la rigenerazione territoriale dei beni comuni. Il secondo è stato presentato, appunto, al Piazzo con Alessandra Faraudello affiancata da Elena Granata, docente al Politecnico di Milano e già superconsulente della Fondazione Crb per gli otto progetti di revisione e riuso di spazi nel capoluogo e nei centri della provincia che finanzia.
Fin qui la (bella) teoria. Che cosa cambia, in concreto? Non molto, per ora. Il regolamento di cui sopra, per esempio, è stato presentato in primavera in municipio. Ma resta un documento senza peso finché non viene adottato dall’amministrazione con un voto del consiglio comunale, passo che finora non risulta essere stato mosso. Tra i commi si legge, per esempio: «L’intervento di gestione, di cura e di rigenerazione dei beni comuni urbani è aperto a tutti, senza necessità di ulteriore titolo di legittimazione». Nel caso della fetta di Biella dove si trova l’ex complesso Rivetti, per esempio, già esiste un movimento di cittadini dal basso che vorrebbe una tutela diversa per l’area del cosiddetto Est urbano. Le loro proposte però, insieme a quelle dello stesso gruppo di studenti di architettura, contrastano con i progetti per ora immaginati per l’area che va da via Cernaia con il suo parcheggione agli edifici oltre il muraglione di via Carso, per ora diroccati e, talvolta, usati come rifugio da chi è senza fissa dimora: prima una struttura medico-sanitaria che vedeva la cooperativa Anteo tra i proponenti, ora dopo un passaggio di proprietà alla famiglia di investitori pescaresi Perilli e alla loro società immobiliare Slim, uno spazio per la pasticceria e la panificazione come base da cui partire. Niente tessile, niente progettazione condivisa. Del resto è un’area privata su cui il Comune ha voce in capitolo quando si trova sul tavolo il progetto già disegnato. A meno che non voglia aprire trattative per fare qualcosa di diverso, ma con il potere contrattuale di chi, date le risorse finanziarie, pensa ai vantaggi di incamerare gli oneri di urbanizzazione, soldi preziosi che il privato versa come contropartita per avere il permesso di fare un investimento che impatta sull’aspetto della città. Furono gli oneri di urbanizzazione de Gli Orsi, per capirsi, a pagare il palazzetto dello sport inaugurato quindici anni fa.
Ipse dixit
“A Palazzo Oropa con la commissione incaricata di selezionare la città dell’adunata nazionale 2025. Mi auguro che Biella venga designata, perché la nostra città ha dato molto alla causa alpina, sin dalle battaglie coloniali”
(Dal post Facebook di Davide Zappalà, assessore di Fratelli d’Italia al Comune di Biella, commentando la visita in città della commissione dell’Associazione nazionale Alpini per vagliare la candidatura per l’adunata nazionale del 2025)
Toponomastica coloniale
Forse non ha fatto un favore nemmeno agli Alpini, l’assessore Davide Zappalà, scegliendo di menzionare proprio le «battaglie coloniali» tra tutte le missioni intraprese dalle penne nere, anche (e forse soprattutto) in tempo di pace. Su quello che è accaduto nelle guerre di conquista in Africa, l’Italia predilige tacere, anche per non rivangare episodi in cui non si è esattamente coperta di gloria come l’etichetta di “criminale di guerra” che le Nazioni Unite appiccicarono al generale Rodolfo Graziani (non un Alpino, per la precisione) per aver comandato nel 1936, in piena era fascista, i bombardamenti su ospedali della Croce Rossa e l’uso di armi chimiche durante la guerra d’Etiopia, crimini per cui non subì mai processi. L’uscita social di Zappalà è passata quasi inosservata, come del resto fanno ormai parte del paesaggio urbano i cartelli delle vie che al passato coloniale (e sanguinoso) dell’Italia fanno riferimento. Viale Macallé prende il nome dalla città in Etiopia dove i soldati con il tricolore sulla divisa si aprirono un varco per l’avanzata facendosi precedere da bombe all’iprite, soprannominato il “gas mostarda”. Via Addis Abeba è chiamata così dal nome di un’altra città etiope, dove il generale Graziani scampò a un attentato che costò la vita ad altre sette persone. La rappresaglia viene definita dai libri di storia la “strage di Addis Abeba”: il bilancio delle vittime è tuttora impossibile, 1500 secondo alcuni, fino a 30mila secondo altri, tra fucilazioni sommarie, deportazioni in campi di prigionia, perfino il plotone d’esecuzione a cui furono destinati più di trecento tra religiosi e laici di un monastero cristiano-copto. Via Bengasi è dedicata alla città principale della Cirenaica, la regione della Libia dove tra il 1930 e il 1931 la resistenza ai coloni italiani fu vinta giustiziando più di diecimila ribelli e deportando oltre centomila persone per fare spazio alla popolazione italiana che Mussolini spedì dalla penisola. Nei campi si calcola che morirono circa quarantamila deportati. Qualche tempo fa il collettivo Wu Ming creò una mappa interattiva (https://umap.openstreetmap.fr/it/map/viva-zerai_519378#6/41.500/13.942) per catalogare le vie, le piazze e i luoghi pubblici italiani che glorificano un passato che non merita onore. Il Biellese è presente sulla cartina, non solo con gli esempi appena citati. In quei nomi non c’è nulla di buono da ricordare, insomma, anche se è vero che cambiare nome a una strada è semplice solo all’apparenza. Farlo costa perché comporta il cambio d’indirizzo, di documenti, di schede anagrafiche a più livelli di centinaia di persone. È una delle ragioni per cui a Torino, dove esistono via Tripoli, piazza Bengasi ma anche corso Unione Sovietica, le richieste di cambio di nome sono finora cadute sempre nel vuoto. Il sindaco del capoluogo piemontese Lo Russo fu tra i più decisi a dire no all’ultima proposta, risalente alla primavera: «Tranquillizzo tutti, nessuno a Torino cambierà nessun nome a nessuna via. Il razzismo, che c’è e non va sottovalutato, non si combatte con la toponomastica, ma con lo studio e la diffusione della cultura».
Cosa succede in città
Oggi alle 17 a Biella la seconda giornata di Fuoriluogokids, la sezione per ragazzi del festival letterario cittadino, propone la lettura-laboratorio con Carola Benedetto e Luciana Cilento, autrici del libro “I viaggi di Mia, alla scoperta dell’acqua”. L’appuntamento a ingresso libero è consigliato per chi ha più di 8 anni e si terrà alla Biblioteca Ragazzi di piazza La Marmora
Oggi alle 18 a Biella si apre al chiostro di San Sebastiano la festa della Lega. I primi a intervenire saranno i sindaci di Biella e Andorno Claudio Corradino e Davide Crovella sul tema “Lega sul territorio”. Alle 20,30 è atteso il parlamentare europeo Alessandro Panza che parlerà di casa. Sarà presente un servizio di ristorazione
Oggi alle 21,30 a Verrone il concerto dei Paniko Vasco, gruppo di cover di Vasco Rossi, è l’evento principale della prima giornata della Prolock Fest organizzata dalle Pro Loco di Cerrione e Verrone. L’appuntamento è nell’area sportiva Cedas Lancia. Prima, durante e dopo il concerto si potrà mangiare e bere in compagnia
Pixel
Sulle pagine locali, di carta e di pixel, dedicate a spettacoli e costume quasi non si parla d’altro negli ultimi giorni: una ballerina biellese, Marisol Castellanos Aguilera, è stata ammessa alla scuola televisiva di Amici, il programma Mediaset creato da Maria De Filippi che si configura come un seguitissimo collegio di musica e danza con le caratteristiche della caccia ai talenti insieme a quelle del reality show. Già allieva della scuola di danza cittadina Dance4, oltre che dell’istituto Bona, proverà a resistere il più a lungo possibile nella scuola inquadrata ogni santo giorno dalle telecamere che raccolgono materiale per le strisce quotidiane e per la trasmissione principale del sabato. Anche per questo risulta curiosa la scelta di Newsbiella che in uno degli articoli dedicati alla giovane ballerina, quello in cui c’è la testimonianza della sua insegnante di danza Emily Angelillo, ha pubblicato un’immagine in cui il volto della ragazza è nascosto, in gergo “pixelato”. Succede, a volte, quando sui giornali si pubblicano immagini di minorenni la cui tutela è logicamente più stringente. È certamente il caso di Marisol Castellanos Aguilera che di anni ne ha 17. Ma sembra una precauzione decisamente eccessiva, dato che viene applicata a colei che ormai ha un destino da personaggio televisivo, in differita o in diretta per più ore al giorno da qui in avanti.
Il comportamento dei media di fronte ai minori è disciplinato, oltre che dalle leggi vigenti, dalla Carta di Treviso, un codice di autoregolamentazione che impegna i giornalisti alla massima tutela di bambine e bambini. Dice, tra le altre cose: «Va garantito l’anonimato del minore coinvolto in fatti di cronaca, anche non aventi rilevanza penale, ma lesivi della sua personalità, come autore, vittima o teste». Nulla a che fare quindi con la partecipazione a una trasmissione televisiva per la quale, evidentemente, esiste anche un’autorizzazione dei genitori. Prosegue la Carta di Treviso: «Va altresì evitata la pubblicazione di tutti gli elementi che possano con facilità portare alla sua identificazione, quali le generalità dei genitori, l’indirizzo dell’abitazione o della residenza, la scuola, la parrocchia o il sodalizio frequentati, e qualsiasi altra indicazione o elemento: foto e filmati televisivi non schermati, messaggi e immagini on-line che possano contribuire alla sua individuazione. Analogo comportamento deve essere osservato per episodi di pedofilia, abusi e reati di ogni genere». Questo dettaglio è assai importante e andrebbe tenuto a mente ogni volta che i media pubblicano notizie di inchieste, denunce o arresti per abusi sui minori che non contengono il nome dell’accusato né i dettagli su luoghi e contesti in cui è avvenuto il fatto. Spesso i commenti social si indignano perché si vorrebbe conoscere l’identità di autori di reati così odiosi. Ma, oltre al fatto che fino alla condanna definitiva tutti restano autori presunti, ogni particolare (un esempio: la scuola frequentata dal minore abusato da un insegnante) risulterebbe potenzialmente decisivo per identificare anche la vittima. Ed è quello che le leggi e la Carta di Treviso vogliono a ogni costo che non avvenga.